QUINTILIANO T2, Institutio oratoria II 2, 4-7, Le qualità di un buon maestro

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Quintiliano propone la figura del maestro ideale articolandola su due piani correlati tra loro, quello della competenza tecnica e quello delle qualità morali: ancora una volta il modello di riferimento non può essere che il “vir bonus dicendi peritus”. Ma accanto a questo presa di posizione teorica, si nota tutta una serie di osservazioni legate all’esperienza e al buon senso, che riguardano problemi d’indole psicologica e di rapporti umani. Così è molto importante che il rapporto tra docente e discente sia improntato all’affetto, al rispetto, alla stima reciproca, come in una relazione tra padre e figlio. Il maestro ideale deve rappresentare soprattutto un modello umano, una figura paterna e ricca di simpatia, che lo studente possa ammirare e del quale in un secondo tempo, possa imitare le doti di equilibrio e di serietà. Con fine intuito psicologico, Quintiliano non vuole un insegnante serioso, ma un insegnante giusto, che intervenga a correggere quando è necessario, sia equo nelle valutazioni, non dimostri né accanimento persecutorio né eccessiva disponibilità all’elogio. Va notato, inoltre, che qui non si parla di un maestro generico ma del maestro di retorica, al quale venivano affidati gli allievi che avevano ultimato la formazione grammaticale, quindi che si trovavano per età e per tipo di studio al livello di una nostra scuola media superiore. A maggior ragione anche in questo caso la scelta del precettore doveva essere guidata soprattutto da criteri morali, perché la figura positiva del maestro, diffondendo valori civili e promuovendo una crescita serena dei giovani, ha il compito di cooperare al miglioramento della società non solo attraverso la dottrina, ma anche attraverso i “mores”.

2, 4. Prima di tutto il maestro assuma nei confronti dei suoi allievi lo stato d’animo di un padre Approfondimento 1, e sappia che prende il posto dei genitori (es. 1) che glieli hanno affidati.1 Non abbia, né sopporti difetti. 5. La sua autorevolezza non sia cupa, la sua cordialità non sia sbracata, per evitare, nel primo caso, l’antipatia e nel secondo la mancanza di riguardo. I suoi argomenti preferiti siano l’onestà e il bene Approfondimento 2; così quanto più spesso avrà impartito ammonizioni, tanto meno dovrà castigare; (es. 2) non sia affatto irascibile, e tuttavia non chiuda gli occhi di fronte a ciò che va corretto Approfondimento 3; chiaro nell’insegnare, resistente alla fatica, lavori con continuità piuttosto che pretendere troppo.2 6. A chi fa domande risponda di buon grado, interroghi di sua iniziativa chi non gliene fa.3 Nel valutare le esercitazioni degli allievi non sia né micragnoso né esagerato Approfondimento 4, perché la prima cosa fa passar la voglia di studiare, l’altra genera in loro una assurda sicurezza di sé. (es. 3) 7. Quando corregge gli errori, non sia feroce e men che meno offensivo: ciò che allontana molti ragazzi dalla voglia di studiare è che certi maestri li rimproverano come se fosse carichi di odio Approfondimento 5 nei loro confronti. (es. 4)

(Trad. di R. Gazich)



NOTE
1. Non è un osservazione banale o ‘paternalistica’, ma il rinvio alla figura del padre indica un atteggiamento di affetto e di interesse, non semplicemente un rapporto tra superiore e inferiore.

2. Si enuncia qui il criterio della continuità nello studio, che è sicura garanzia di apprendimento. Al contrario, l’attività svolta ‘a sbalzi’, che alterna momenti di inerzia all’impegno intensivo per recuperare il tempo perduto non consegue alcuno scopo.

3. Altro dettaglio psicologico di enorme importanza: tutti gli allievi devono essere coinvolti nella stessa misura, indipendentemente dal fatto che essi siano più o meno capaci di imporsi e di intervenire.

2, 4. Sumat igitur ante omnia parentis erga discipulos suos animum, ac succedere se in eorum locum a quibus sibi liberi tradantur existimet. Ipse nec habeat vitia nec ferat. 5. Non austeritas eius tristis, non dissoluta sit comitas, ne inde odium, hinc contemptus oriatur. Plurimus ei de honesto ac bono sermo sit: nam quo saepius monuerit, hoc rarius castigabit; minime iracundus, nec tamen eorum quae emendanda erunt dissimulator, simplex in docendo, patiens laboris, adsiduus potius quam inmodicus. 6. Interrogantibus libenter respondeat, non interrogantes percontetur ultro. In laudandis discipulorum dictionibus nec malignus nec effusus, quia res altera taedium laboris, altera securitatem parit. 7. In emendando quae corrigenda erunt non acerbus minimeque contumeliosus; nam id quidem multos a proposito studendi fugat, quod quidam sic obiurgant quasi oderint.

NOTE

4. parentis… animum: Quintiliano ama la disposizione a cornice, allontanando termini grammaticalmente o logicamente congiunti per racchiudere tra essi altri termini (in questo caso “erga discipulos suos”) facendone un unico blocco concettuale. • nec ferat: in stretta relazione con nec habeat; proprio perché non ha vizi, non dove essere disposto a tollerarli negli altri.

5. austeritas… comitas: disposizione a chiasmo. Si osservino al centro i due aggettivi che segnalano una forma negativa della serietà e della cordialità: tristis significa «cupo», «tetro», mentre dissolutus, che etimologicamente rinvia a solvo, corrisponde all’idea di una cordialità così eccessiva da portare allo sbracamento. Quintiliano mette in guardia da un atteggiamento che è diffuso anche ai tempi nostri: quello dell’insegnante ‘amicone’ dei suoi allievi, che acquista in popolarità, ma perde in autorevolezza. • de honesto: rinvia all’astratto honestum; il richiamo ai valori è sempre in primo piano nell’insegnamento quintilianeo.

6. percontetur ultro: «interroghi di sua iniziativa»; ultro signfica «spontaneamente». • malignus… effusus: in malignus non c’è l’idea della malignità, ma della ristrettezza, quasi dell’avarizia, in questo caso ‘avarizia di parole’; malignus è opposto a effusus, derivato da fundere versare», «riversare»), che indica invece eccesso, quasi un fiume di parole.

7. obiurgant… oderint: il loro rimprovero (obiurgare) vien fatto non al fine di correggere l’errore, ma di colpire l’allievo «come se provassero odio» (quasi oderint) nei suoi confronti.

 

Note

  1. Nell’accostare la figura del maestro alle figure familiari, in particolare a quella del padre, Quintiliano non intende certo consigliare un atteggiamento buonista e permissivo: il “pater familias” dell’età imperiale non sarà più stato quello dei tempi arcaici che aveva diritto di vita e di morte sui figli, ma non è sicuramente simile al padre-amico dei nostri giorni che si pone al livello del figlio. Nella vita romana il padre rappresentava il modello a cui ispirarsi ed era la guida che introduceva il giovane sia nella attività militare sia nella vita pubblica. Tale deve essere il maestro, un modello e una guida. Infatti la prima cosa che Quintiliano dice a questo proposito nel par. 4 è: «non abbia, né sopporti difetti». Come modello non deve averne e come guida non deve tollerarli nei suoi sottoposti. Immagini, riflessioni, notizie sull’archetipo del padre e la sua funzione sono reperibili nel sito http://www.albedoimagination.com/2014/03/riflessioni-sul-padre-2/. Si tratta di una articolata “Riflessione sul padre”, che mette in luce la funzione paterna, sia quella ‘romana’ della mediazione tra giovane individuo e società, sia quella ‘moderna’ di guida all’itinerario verso il sé. Insomma un viaggio dalle immagini della mitologia agli studi della psicoanalisi, fino a gli esiti nella società attuale, che assiste a una relativa ‘eclissi del padre’.
  2. Il pensiero dominante in tutta l’opera di Quintiliano è l’insegnamento della retorica come portatrice di valori morali e civili. L’oratore che egli vuol formare è un “vere civilis vir”, un uomo al servizio della città, non un azzeccagarbugli. A questo proposito, vale la pena di ricordare la massima che chiude “Inst. or.” XII 1, 3: «Io non mi limito a dire che l’oratore deve essere un uomo onesto, ma che uno che non sia onesto non sarà mai un oratore».
  3. Scolasticamente parlando, chiudere gli occhi di fronte a ciò che va corretto è la via più comoda, per ottenere una facile popolarità tra allievi e genitori, ma va contro la deontologia professionale. Correggere ciò che va corretto e soprattutto far capire in che cosa consista l’errore e perché lo si è corretto è la via per rendere efficace sia l’esercitazione sia la correzione.
  4. Due atteggiamenti sbagliati, per l’effetto che suscitano nell’allievo: il primo consistente nel ridurre al minimo ogni apprezzamento, fino a negarlo del tutto, e questo comporta nell’allievo disgusto per il lavoro; il secondo nel distribuire lodi eccessive. Non dobbiamo comunque pensare a una generica verifica scolastica, ma tener presente quale sia l’oggetto che deve essere qui valutato: si tratta di orazioni, cioè di una produzione alta, che merita e pretende lodi o biasimi, non una valutazione generica.
  5. Ci sono sempre stati – e ci sono – in certi docenti atteggiamenti di antipatia nei confronti di qualche allievo, ma dobbiamo pensare alla scuola antica, che ammetteva anche gravi punizioni a livello fisico; e del resto le punizioni fisiche sono scomparse dai metodi di insegnamento da non moltissimi anni anche presso di noi. Può essere una notizia inaspettata che solo in 31 paesi del mondo le punizioni corporali a scuola siano proibite per legge. [http://it.euronews.com/2012/03/22/punizioni-e-disciplina-a-scuola-i-vecchi-metodi-resistono/]

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