Quintiliano propone la figura del maestro ideale articolandola su due piani correlati tra loro, quello della competenza tecnica e quello delle qualità morali: ancora una volta il modello di riferimento non può essere che il “vir bonus dicendi peritus”. Ma accanto a questo presa di posizione teorica, si nota tutta una serie di osservazioni legate all’esperienza e al buon senso, che riguardano problemi d’indole psicologica e di rapporti umani. Così è molto importante che il rapporto tra docente e discente sia improntato all’affetto, al rispetto, alla stima reciproca, come in una relazione tra padre e figlio. Il maestro ideale deve rappresentare soprattutto un modello umano, una figura paterna e ricca di simpatia, che lo studente possa ammirare e del quale in un secondo tempo, possa imitare le doti di equilibrio e di serietà. Con fine intuito psicologico, Quintiliano non vuole un insegnante serioso, ma un insegnante giusto, che intervenga a correggere quando è necessario, sia equo nelle valutazioni, non dimostri né accanimento persecutorio né eccessiva disponibilità all’elogio. Va notato, inoltre, che qui non si parla di un maestro generico ma del maestro di retorica, al quale venivano affidati gli allievi che avevano ultimato la formazione grammaticale, quindi che si trovavano per età e per tipo di studio al livello di una nostra scuola media superiore. A maggior ragione anche in questo caso la scelta del precettore doveva essere guidata soprattutto da criteri morali, perché la figura positiva del maestro, diffondendo valori civili e promuovendo una crescita serena dei giovani, ha il compito di cooperare al miglioramento della società non solo attraverso la dottrina, ma anche attraverso i “mores”.
2, 4. Sumat igitur ante omnia parentis erga discipulos suos animum, ac succedere se in eorum locum a quibus sibi liberi tradantur existimet. Ipse nec habeat vitia nec ferat. 5. Non austeritas eius tristis, non dissoluta sit comitas, ne inde odium, hinc contemptus oriatur. Plurimus ei de honesto ac bono sermo sit: nam quo saepius monuerit, hoc rarius castigabit; minime iracundus, nec tamen eorum quae emendanda erunt dissimulator, simplex in docendo, patiens laboris, adsiduus potius quam inmodicus. 6. Interrogantibus libenter respondeat, non interrogantes percontetur ultro. In laudandis discipulorum dictionibus nec malignus nec effusus, quia res altera taedium laboris, altera securitatem parit. 7. In emendando quae corrigenda erunt non acerbus minimeque contumeliosus; nam id quidem multos a proposito studendi fugat, quod quidam sic obiurgant quasi oderint.
NOTE
4. parentis… animum: Quintiliano ama la disposizione a cornice, allontanando termini grammaticalmente o logicamente congiunti per racchiudere tra essi altri termini (in questo caso “erga discipulos suos”) facendone un unico blocco concettuale. • nec ferat: in stretta relazione con nec habeat; proprio perché non ha vizi, non dove essere disposto a tollerarli negli altri.
5. austeritas… comitas: disposizione a chiasmo. Si osservino al centro i due aggettivi che segnalano una forma negativa della serietà e della cordialità: tristis significa «cupo», «tetro», mentre dissolutus, che etimologicamente rinvia a solvo, corrisponde all’idea di una cordialità così eccessiva da portare allo sbracamento. Quintiliano mette in guardia da un atteggiamento che è diffuso anche ai tempi nostri: quello dell’insegnante ‘amicone’ dei suoi allievi, che acquista in popolarità, ma perde in autorevolezza. • de honesto: rinvia all’astratto honestum; il richiamo ai valori è sempre in primo piano nell’insegnamento quintilianeo.
6. percontetur ultro: «interroghi di sua iniziativa»; ultro signfica «spontaneamente». • malignus… effusus: in malignus non c’è l’idea della malignità, ma della ristrettezza, quasi dell’avarizia, in questo caso ‘avarizia di parole’; malignus è opposto a effusus, derivato da fundere («versare», «riversare»), che indica invece eccesso, quasi un fiume di parole.
7. obiurgant… oderint: il loro rimprovero (obiurgare) vien fatto non al fine di correggere l’errore, ma di colpire l’allievo «come se provassero odio» (quasi oderint) nei suoi confronti.